Come fare problem setting

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Dopo che il disagio, l’insufficienza, l’area critica, si sono manifestati o sono stati portati alla luce, si può cercare di definirli come problemi alla nostra portata, o almeno capire di quali problemi possiamo farci carico, e quali dobbiamo demandarne ad altri. Il problem setting si avvia con l’analisi della situazione, partendo dallo scenario tecnologico, politico, sociale, istituzionale, economico. In che modo il nostro problema è correlato con i grandi poblemi della società? 

Poi delineiamo il contesto strategico, determinato da cambiamenti del mercato, politiche del lavoro e dell’occupazione, modifiche della catena del valore, tensioni sociali e sindacali, condizioni ambientali, pressione della concorrenza, innovazioni tecnologiche, di processo e di prodotto. Come dice Bill Gates, per risolvere un problema bisogna coinvolgere chiunque si trovi nel suo percorso critico, indipendentemente dal fatto che sia all’interno o all’esterno dell’azienda. Quindi ci concentriamo sulla nostra organizzazione, che può essere interessata da introduzione di nuove tecnologie, innovazioni nei processi produttivi, ristrutturazioni, relazioni fra unità produttiva e holding, acquisizioni e cambiamenti di proprietà, mutamenti nella vision del top management, individuazione di nuove nicchie di mercato, rideterminazione del core business, politiche di outsourcing.

Il problema può essere generato da decisioni prese dall’alto (licenziamenti, cessioni), o può essere posto dal basso (circoli di qualità o problemi sindacali).

Restringendo ancora il campo di analisi, il setting del problema può riguardare situazioni tipiche del settore in cui operiamo, come il marketing, la comunicazione, le risorse umane, la produzione, l’amministrazione. Nell’informatica, per esempio, potremmo definire un problema di software o di hardware. Nell’organizzazione potremmo definire un problema di ottimizzazione per migliorare la qualità, eliminare gli sprechi, ridurre il time to market). Nella comunicazione, il problema può riguardare la gestione delle crisi, il clima interno, i rapporti con la rete di vendita, le campagne stampa.
Infine, dopo aver analizzato i contesti più ampi, possiamo affrontare il problema specifico di cui ci dobbiamo occupare.

L’argomento specifico può essere la progettazione di un nuovo corso di formazione, di una campagna pubblicitaria, l’ideazione di un nuovo prodotto, la riqualificazione del personale. Bisogna cominciare a individuare le condizioni che determinano il disagio. Dalle condizioni vanno individuate tutte le situazioni a rischio e i processi di cambiamento, chiedendosi che cosa cambierà, quali saranno le conseguenze del cambiamento, chi ne sarà interessato, quali saranno i rischi e le opportunità. In base alle condizioni e alle situazioni a rischio si determinano i problemi. 

Le condizioni sono le caratteristiche che riguardano il terreno di gioco. Non le possiamo modificare, ma dobbiamo tenerne conto per affrontare il nostro problema e raggiungere i nostri obiettivi. Per esempio se giochiamo una partita di calcio, il campo di calcio, le regole del gioco, la composizione della suqadra nostra e di quella avversaria sono le condizioni. Il problema è attaccare la rete dell’avversario e proteggere la nostra rete, o fare un numero di goal superiore a quelli che prendiamo.

Ora abbiamo finalmente il problema davanti a noi, e possiamo osservarne la struttura. E’ un problema singolo o un insieme di problemi più piccoli? Se questi problemi costituiscono una sequenza, vanno risolti partendo dal primo e andando verso l’ultimo. Se la struttura è un albero, con problemi più grandi che contengono problemi minori, bisogna cominciare da questi per modificare tutto il sistema, fino ai contenitori principali. Se il sistema di problemi costituisce una rete bisogna capire quali sono i problemi collegati fra loro, e cominciare da problemi periferici e minori per ottenere cambiamenti graduali, oppure i problemi più importanti per un cambiamento radicale.
Ai problemi corrisponderanno gli obiettivi che costituiranno le soluzioni dei problemi. Più è definito con precisione il problema, meglio sarà definito l’obiettivo. Gli obiettivi devono essere SMART per poter definire i problemi in modo altrettanto concreto e risolvibile. Per esempio, l’obiettivo può essere: “aumentare il fatturato del 5% con l’acqujisizione di nuovi clienti entro il semestre in corso”. I problemi relativi saranno: “come acquisire nuovi clienti? quanti ordini si dovranno ricevere per raggiungere il 5%? come pianificare le cose da fare entro il semestre?”.

Il processo di problem setting si conclude con la comunicazione del problema. Tutto il setting del problema si basa sulla comunicazione. Il leader e i collaboratori devono comunicare costantemente fra di loro per attivare i metodi e le tecniche. Ma devono comunicare anche con il resto dell’organizzazione per ottenere dati e informazioni utili.
Una volta definito e formulato, il problema va comunicato all’interno dell’organizzazione, e se è il caso anche all’esterno. 
La frase “questo è un problema tuo, non mio” significa che io non sono disposto a interessarmi di del problema che mi proponi. 
Il problema quindi va “venduto” per ottenere consenso intorno all’opportunità di risolverlo. E anche per ottenere decisioni e finanziamenti.
Per comunicare con più efficacia il problema si può ricorrere all’analogia. Catone in senato estrasse dalla toga alcuni fichi freschi che venivano da Cartagine. Con questo voleva dire che Cartagine era talmente vicina da rappresentare una seria minaccia per Roma.

Per comunicare il problema al di fuori del cerchio degli addetti ai lavori in senso stretto possiamo ricorrere all’espediente del RIMB (Raccontalo In Modo Banale), di cui parla la scrittrice di thriller Kathy Reichs. E’ il modo di parlare del proprio progetto che si usa per le raccolte di fondi, i party, le riunioni inaugurali, i consigli di amministrazione, dove si semplifica tutto al massimo, evitando tecnicismi e approfondimenti.

Un modo per confondere le acque nelle riunioni o nei talk show è agitare i problemi, e consiste nel buttare in mezzo come problemi slogan, luoghi comuni, concetti generali per impedire di affrontare problemi concreti in modo razionale. Un esempio è l’uso dell’occupazione, che viene buttato in mezzo alle discussioni solo per fare rumore, senza nessun approfondimento e progetto di seri interventi contro la disoccupazione e la precarietà. E allora non resta che dissolvere i problemi come non-problemi, come fece Epicuro a proposito della morte: “Per me la morte non è un problema, perché quando ci sono io non c’è lei, e quando c’è lei non ci sono io”.