Verità

atlante problem solving

bocca della verità

A Roma nel portico della chiesa medievale di Santa Maria in Cosmedin c’è un mascherone di fontana – o di cloaca – di età romana imperiale chiamato “Bocca della verità” perché la tradizione popolare dice che se si infila una mano nella bocca e si dice una bugia, la mano viene punta o ferita. Fin da quando è nata la comunicazione, insieme con essa è sorto il problema di stabilire se ciò che viene detto è vero o no, per la natura stessa della comunicazione, che si riferisce a qualcosa di diverso da ciò che viene detto in base all’osservazione che se ne fa da un certo punto di vista e da ciò che si sa sull’argomento. Nascondersi, dissimulare il proprio aspetto, fingersi morti o diversi fa parte delle difese naturali usate anche dagli animali. A tutto questo l’uomo ha aggiunto il linguaggio che gli permette sia di comunicare con più precisione, sia di mentire con più raffinatezza.

Da questa capacità di fingere e di mentire nasce l’esigenza di verità. Mi dici che sta arrivando un lupo aggressivo, ma è vero? E se non è vero, perché me lo dici? L’altra volta mi avevi mentito, quindi per quale ragione adesso dovrei crederti?

Per uscire da questi scomodi dubbi abbiamo screditato la figura del mentitore, condannandolo sia in cielo che in terra, quando per esempio in un processo costringiamo un testimone a giurare di dire la verità con una mano sulla Bibbia. Nonostante ciò continuiamo allegramente a mentire, a ingannare ed essere ingannati, nei rapporti amorosi, nell’amicizia, nel commercio, nella politica, anche se continuiamo a pretendere che ci si dica la verità.

Ma che cos’è questa verità?

Se tutto è relativo, che cosa è assolutamente vero e indiscutibile? L’epistemologia costruttivista sostiene che “ci sono tante realtà quante se ne possono immaginare” (Watzlawick), che ciò che vediamo, sappiamo e pensiamo dipende dal punto di vista in cui ci troviamo, e cambia se cambiamo tale punto di vista. La possibilità di vedere le cose in modo diverso è alla base del problem solving. Basta spostarsi un po’ perché un passaggio che sembrava invalicabile diventa persino facile, come sa bene chiunque va in montagna. Ma al di là dei punti di vista e dei paradigmi mentali che condizionano il nostro sistema percettivo/reattivo, esiste qualcosa di oggettivamente “vero”? Se lo sono chiesto filosofi, pensatori, mistici e scienziati fin dai tempi più antichi.

Fin da bambini siamo stati educati a “dire la verità” e ci è stato detto che dire le bugie fa allungare il naso e provoca altri inconvenienti più o meno fastidiosi. Ed era molto chiaro che cosa fosse la verità: era il contrario della bugia, era dire “è vero, ho rotto io il bicchiere” invece del più comodo “non sono stato io”. Però poi crescendo abbiamo visto che anche i grandi a volte dicevano bugie, e che uno stesso fatto poteva essere raccontato in vari modi, attribuendo varie responsabilità. Il pensiero è diventato complesso e sfaccettato, il mondo intorno a noi si è allargato, e abbiamo capito che non c’era una sola verità, ma vari tipi e vari livelli di quella che comunemente chiamiamo verità e che siamo disposti ad accettare come veritiera. Vediamoli.

Verità filosofica - comprendere

La verità è un principio della logica, basato sulla coerenza fra ciò che si dice e ciò che si osserva (vedo il cielo senza nuvole e dico che è sereno) e sulla non contraddizione (se ho detto che è sereno, non posso contemporaneamente dire che piove). Accanto alla logica però c’è l’emozione, l’intuizione, l’immaginazione, la memoria, e poi l’ontologia, l’etica, la fisica e la metafisica, ognuna delle quali ha la propria idea di verità, per cui le cose si complicano e danno luogo alle tante scuole filosofiche che si sono arrovellate a spiegare che cosa veramente è il mondo, noi, la vita e il tempo.

La logica bivalente o binaria (1/0, Vero/Falso) convive con altri tipi di logica, caratterizzati dalla presenza di operatori modali (necessario, possibile, contingente e impossibile), etico/giuridici (permesso, obbligatorio, vietato), temporali (passato, presente, futuro), epistemici (sapere, credere, conoscere). Le logiche costruttiviste rifiutano i principi del terzo escluso e della doppia negazione.

Il filosofo è un cultore del dubbio, perché proprio dubitando di tutto e di tutti spinge il proprio pensiero fino ai limiti del dubbio stesso, come accade a Cartesio che arriva a non dubitare del fatto che sta pensando, e che perciò esiste (cogito, ergo sum).

Verità religiosa - credere

Per uscire dall’angoscia del dubbio, l’uomo si è inventato le religioni, sistemi di pensiero basati su simboli e intuizioni che si pretendono rivelati direttamente dalla divinità, e quindi “veri”. Poiché però la divinità non si vede e non si tocca, bisogna crederci, quindi il vero è ciò a cui si crede e a cui si deve credere proprio perché è vero. Gli dei invisibili si fanno rappresentare dai profeti, portavoce che ne rivelano le volontà e le codificano nei libri canonici, e da sacerdoti che si incaricano di spiegare i testi canonici adattandoli alla vita di ogni giorno dei comuni mortali. 

La verità religiosa dunque è indiscutibile e non falsificabile, non appartiene alla ragione ma alla fede, non deve essere capita ma praticata e testimoniata con il modo di vivere, una testimonianza totale che può arrivare fino al sacrificio della vita stessa (“martire” vuol dire “testimone”). Il nostro Dio è quello “vero”, tutti gli altri sono “dei falsi e bugiardi”. Chi non la pensa così non ha neanche il diritto di vivere, come accade per le guerre sante e le condanne di eretici, atei e miscredenti.

Verità matematica - dimostrare

La matematica, che ha la vocazione di semplificare al massimo ragionamenti ed espressioni, si rifà alla logica e al principio di non contraddizione, per cui A non può essere Non-A, e se A è vero e ha valore 1, Non-A è falso e ha valore 0. Su questo principio si basa tutta la logica classica lineare, detta bivalente perché basata sui due valori 1/0. Tuttavia già i matematici greci del IV sec.a.C. si inventarono il calcolo infinitesimale, e cioè tutta la scala di frazioni che c’è fra due numeri interi. Se 1 è nero e 0 è bianco, fra l’uno e l’altro c’è tutta l’infinita scala dei grigi, o degli “zero virgola”. Ecco dunque che fra il vero e il falso c’è la gran folla dei quasi vero e dei quasi falso. Nasce così la logica fuzzy, non più lineare e bivalente ma polivalente, ricorsiva, fra il vero e il falso c’è il problematico, fra il sole e la pioggia c’è tutta la gamma delle nuvole, che popolano il cielo della complessità, fino ad arrivare ai teoremi di Gödel e al principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui il fenomeno osservato è influenzato dall’osservatore. 

La verità matematica deve essere dimostrata, e se ne incarica il teorema, che però parte da assiomi, ossia da principi comunemente accettati. Se cambiano questi assiomi, cambia anche la verità dimostrata dal teorema. Per esempio il teorema di Pitagora è vero partendo dagli assiomi della geometri euclidea, ma falso partendo dagli assiomi della geometria iperbolica, dove la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180°.

Verità scientifica - sperimentare

La scienza parte da un’idea che può essere anche fantastica o preconcetta o teorica, ma la sottopone a esperimenti che, ripetuti, devono dare sempre lo stesso risultato. Gli esperimenti vengono ripetuti anche da altri scienziati, in modo che non ci siano imbrogli nel conseguimento del risultato. Anche le relazioni teoriche vengono riviste da altri scienziati che a vicenda controllano la correttezza di esperimenti e deduzioni, in modo da ridurre il più possibile rischi di interessi particolari che possano inficiare l’attendibilità delle formulazioni finali. 

Le teorie scientifiche sono vere ma falsificabili, nel senso che restano vere fino a quando altri scienziati con nuove conoscenze fanno esperimenti che smentiscono o precisano quanto fatto finora. La falsificabilità è la miglior garanzia della “verità” scientifica, che può essere demolita con argomentazioni altrettanto solide di quelle con cui è stata formulata.

Verità storica - testimoniare

La verità storica è la ricostruzione di quanto è accaduto nel passato solo in base a testimonianze e documenti del passato stesso, studiati con l’ampiezza di visione del presente che consente di collocarli meglio nel loro contesto socioculturale, ma per quanto possibile senza le ideologie e le passioni del presente, perché la tentazione di piegare fatti e idee del passato alla mentalità presente è sempre forte. 

Per esempio, nel XVIII secolo il commercio degli schiavi era un’attività socialmente accettata, anche se oggi suscita in noi la più viva esecrazione. Quindi ne va tenuto conto per giudicare personaggi e avvenimenti dell’epoca. La storia rischia anche di essere indirizzata dalla politica, come accadde per il fascismo in Italia che spinse a rileggere in chiave imperialista e nazionalista la storia e l’archeologia romana.

Verità fantastica - immaginare

Le arti visive, musicali, coreutiche e letterarie sono creatrici di “verità” immaginarie, ma rese vive e “reali” dalle capacità dei loro creatori. In tal senso noi possiamo tracciare le mappe di inferno, purgatorio e paradiso come ci sono stati descritti da Dante, o ci par di conoscere il Conte di Montecristo, Renzo e Lucia o zio Paperone come se fossero persone di famiglia. Per vivere quelle fantasie come “vere” ci basta abbandonarci ad esse, e lasciare che artisti e poeti sciolgano la nostra immaginazione. Nel nostro piccolo sperimentiamo questo tipo di verità nelle intuizioni e nei sogni, che a volte usiamo come rivelatori o premonitori di eventi futuri. 

Questa è anche la verità del gioco e dello sport, dove si combatte “per finta” e si considerano valide solo all’interno del gioco regole che al di fuori non hanno ragion d’essere. La verità delle intuizioni creative è confermata in alcuni casi dal fatto che la scienza ci arriva per via sperimentale molto tempo dopo, come accade per esempio con le fantasie della fantascienza che poi sono diventate realtà tecnologiche.

A questo tipo di verità si riferiscono anche la magia, le arti divinatorie e le discipline paranormali.

Veridicità - dire la verità

La verità è sostenuta dalla veridicità, ossia dal dire il vero. Questa è una qualità richiesta ai testimoni di un processo, ad ambasciatori e messaggeri che devono riportare fedelmente i messaggi ricevuti dai governanti, agli annunci pubblicitari per non incorrere nelle sanzioni del codice etico, ai fogli illustrativi dei medicinali o di altri prodotti, e dovrebbe essere l’imperativo etico dei mezzi d’informazione. In realtà il concetto di verità sociale è legato al potere e agli interessi di parte, per cui sono attendibili e veritieri quelli che sono dalla nostra parte, sono bugiardi i nostri avversari, come avviene in periodi di propagnada politica o di guerra. 

La favola di “al lupo, al lupo!” ci avverte che dire il falso spesso ci si ritorce contro, perché danneggia la nostra reputazione e credibilità. E’ quanto avviene ad esempio con le campagne di greenwashing fatte da soggetti che sono sempre stati forti inquinatori, come le compagnie petrolifere.

Verosimiglianza - essere credibili

La verosimiglianza non ha tanto a che fare con l’essere vero, ma col sembrarlo. Un fatto accaduto o narrato è più o meno verosimile se è credibile o meno. Un marziano verde che esce da un disco volante atterrato nel giardino è qualcosa di inverosimile. Un merlo che va al bar a prendere cappuccino e cornetto sembra del tutto inverosimile, anche se l’ho visto con i miei occhi in un paese di montagna dove era la mascotte del bar. Un romanzo, un dipinto, un saggio possono essere verosimili anche se sono completamente inventati. Spesso è proprio la verosimiglianza che ci coinvolge al punto da identificarci col protagonista e vivere le sue avventure.

Edward De Bono propone una scala con dodici livelli di verosimiglianza per un fatto, una dichiarazione o una narrazione:

  1. Sempre vero
  2. Quasi sempre vero
  3. Generalmente vero
  4. In genere
  5. Molto spesso
  6. Almeno nella metà dei casi
  7. Spesso
  8. Talvolta vero
  9. Raramente vero
  10. In un caso su mille
  11. Mai vero
  12. Impossibile o contraddittorio
Autoinganno

Nel problem solving strategico si usa l’autoinganno come leva di cambiamento risolutivo. Partendo dal presupposto che ognuno di noi vede le cose dal suo punto di vista, se questa visione è disfunzionale e ci crea problemi, basta cambiare un po’ il punto di vista per scorgere nuove prospettive e nuove soluzioni. 

Lo sanno gli atleti che sviluppano una mentalità vincente per rendere più accessibile la vittoria, lo sa la saggezza popolare con la favola della volpe e l’uva, dove la volpe incapace di raggiungere l’uva si autoconvince che non ne valeva la pena perché è ancora acerba. 

La gestione dei propri autoinganni può essere negativa quando ci fa adagiare nel pensiero illusorio e ci impedisce di cercare soluzioni concrete, positiva quando ci carichiamo per affrontare situazioni impegnative o quando non è il caso di svelare le nostre intenzioni, come in un negoziato o in una partita di poker.