1936-46: la prima decade, dalla nascita al dopoguerra
Sommario
La nascita e le prime consapevolezze (1936-1939) – Ore otto, nato bambino: le radici a Roma – L’arte della fuga: spine e marciapiedi – Monache e muri: curiosità e talento precoce
L’impatto della guerra e l’allontanamento (1939-1942) – Il papà in divisa e il viaggio angoscioso a Lanciano – Autobus, pecore e malinconia: il primo trauma
La vita sotto il regime e le figure centrali – Fascismo in famiglia: il nonno, l’avvocato e i valori – Calze, ebrei e divise da lupetto
La retorica bellica e il battesimo del fuoco (1942-1943) – Il sussidiario e l’eroe che affonda con la nave – La crisi di pianto con “Giarabub”: storia e finzione del cinema – Napoli, sirene e vomito nel rifugio – 8 settembre: la smobilitazione e il boato della mina tedesca
Lungo la Linea Gustav: fede, paura e vita (1943-1946) – La torre, il rifugio e la notte delle fiamme – Il crollo della grotta “sicura”: crisi spirituale del padre – Tra cannonate e rosario: partenza o arrivo? – A nove metri dalla porta: la bomba inesplosa
La liberazione e le prime passioni – L’umanità del ragazzo tedesco e la messa dello zio arciprete – Alleati, fox trot e il sogno d’oltreoceano – La radura di Gammaus: il luogo della luce e la memoria dell’anestesia – Botti e calze: dal residuato bellico alla matita – La fabbrica e il torchio: dal modello chiuso al modello-rete
Ore otto, nato bambino: le radici a Roma
Nell’agenda da avvocato di mio padre, il 2 febbraio 1936 c’era una pagina
vuota. In alto papà aveva scritto: “Ore otto, nato bambino”.
Eravamo a Roma, in via Valadier, vicino al Palazzo di Giustizia. Il
bambino ero io.
L'arte della fuga: spine e marciapiedi
Ho due anni. Devo attraversare la strada. Qualcuno mi mette in guardia, perché mi dice che scendere dal marciapiede è pericoloso.
Ho tre anni. Mio zio, mentre sto mangiando un pesce, mi dice che devo stare attento alle spine, perché se mi si ficca una spina in gola soffocherò. Non ho più mangiato pesce fino a 18 anni. Si è formata così, da questi piccoli eventi, la mia strategia di evitamento (link Atlante): di fronte alle difficoltà, tendo a scappare, salvo poi costruirmi una raffinata teoria per dimostrare a me stesso che la fuga era la soluzione migliore. Molto prima di me, Esopo aveva rappresentato questo atteggiamento con la favola della volpe e l’uva…
...L'umanità del ragazzo tedesco e la messa dello zio arciprete
Verso la fine di novembre i tedeschi cominciarono a ritirarsi. Uno di essi, un ragazzo biondo di neanche venti anni, arrivò da solo in casa, e fu accolto da mia madre che gli diede qualcosa da mangiare, una catinella e un pezzo di sapone per ripulirsi un po’. Io ero lì vicino e lo osservavo con la mia solita curiosità. Il ragazzo si tolse la giacca e la camicia, rimanendo a torso nudo. Piegò la camicia e la mise sulla sedia, ma dal taschino cadde una bomba a mano, di quelle a uovo, e rotolò sul pavimento per fermarsi più in là. Il soldato restò impietrito col terrore dipinto sul volto, unito al rammarico per il pericolo che faceva correre a quella mamma e quel bambino italiani che erano stati così buoni con lui. Fu un indimenticabile momento in cui la guerra era superata dalle emozioni e dai sentimenti che ci univano, una mamma, un bambino, un ragazzo biondo dagli occhi azzurri. E niente altro.
Il 3 dicembre del 1943 gli alleati riuscirono ad arrivare da noi. Zio Giovanni, l’austero arciprete, fratello maggiore del nonno e autorità spirituale di tutta la famiglia, stava dicendo messa nell’altare posticcio ricavato in sala da pranzo. I miei cugini arrivarono trionfanti con la notizia, ma lui continuò imperterrito a celebrare la messa. Mi è sempre rimasto in mente quell’atto di sentita e profonda religiosità…