Problem finding

problem finding

atlanteproblem solving

Il problem finding è la fase in cui si scopre un problema che altri non avevano ancora visto, o criticità e bisogni finora latenti, che poi possono essere riformulati come problemi che è possibile risolvere. Nel processo di soluzione del problema è la premessa, il primo passo. Chi non sa di avere un problema non può fare nulla per risolverlo. Chi invece avverte che c’è qualcosa che non va, che frena, che appesantisce, che impedisce di raggiungere mete desiderate, può poi formulare il disagio come problema, esaminare ciò che ha fatto finora nel tentativo di migliorare, e nel cercare soluzioni.

Il problem finding va distinto dal problem posing, un metodo didattico basato sulle teorie di Piaget e Dewey, formulato da Paulo Freire e applicato nelle scuole Montessori, dove non si somministra all’allievo una soluzione da imparare, ma lo si spinge a porsi un problema, guidandolo nella ricerca delle soluzioni. In tal modo si sviluppa un apprendimento critico e attivo, non ricettivo. L’apprendimento non porta a conoscere il mondo com’è, ma ad immaginare come potrebbe essere. Quindi è potenzialmente rivoluzionario, creativo, innovativo, liberatorio.

Il progresso nelle arti e nelle scienze è dovuto a persone che si sono poste problemi derivanti da nuove sensibilità, da condizioni ambientali mutate, dalla critica ai saperi precedenti. Per scoprire problemi occorre spirito di osservazione e creatività. Il primo si sviluppa raccogliendo dati (notizie, informazioni, misure, immagini, campioni, casi e fatti), strutturandoli in base a schemi e modelli, traendone visioni e tendenze. La creatività si sviluppa ricomponendo e ristrutturando gli elementi raccolti e osservati, rivedendo tutto da altri punti di vista, immaginando nuovi scenari, nuovi usi, nuovi comportamenti.

Nelle organizzazioni si tende ad evitare i problemi e a conservare il più possibile le cose come stanno, per non correre rischi e non turbare le proprie routine e gli equilibri di potere. Ma ecco che arriva la pressione di agenti esterni come innovazioni applicate da concorrenti, nuove tecnologie, congiunture economiche e finanziarie, turbolenze sociali e politiche, o agenti interni come ristrutturazioni ambientali o organizzative, politiche di personale, introduzione di nuovi processi produttivi. E allora sono vincenti le aziende che hanno saputo sviluppare una sensibilità ai problemi e hanno incoraggiato le persone capaci di cogliere segnali deboli e amplificarli con l’immaginazione per valutarne implicazioni e sviluppi possibili.

Steve Jobs è un esempio di persona che si è posta problemi nuovi e diversi rispetto alla situazione corrente. Chi mai avrebbe pensato di voler usare il telefono per fare fotografie? O che un computer dovesse essere soprattutto bello ed elegante? O che il computer dovesse servire a scrittori e ad artisti invece che ad ingegneri e contabili? Da queste domande che ora sembrano naturali, ma che nessuno si era fatto prima di lui, derivano tutte le soluzioni che hanno cambiato il nostro rapporto con le tecnologie dell’informazione e comunicazione.