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Identità virtuale

atlantenuove tecnologie

In Internet possiamo mantenere la nostra identità anagrafica e professionale, oppure assumere una o più identità virtuali, con cui possiamo abitare luoghi virtuali e stringere contatti e relazioni con altre identità virtuali. Se siamo maschi, possiamo fingerci femmine, se siamo vecchi possiamo fingerci giovani, e il gioco funziona fino a quando riusciamo ad essere credibili nel nostro ruolo fittizio.

Tutte le volte in cui usciamo dalla nostra solitudine per incontrare gli altri indossiamo una maschera, un insieme di abiti, acconciature, comportamenti, atteggiamenti, che secondo noi ci rappresentano meglio, nascondono le nostre debolezze, valorizzano i nostri punti di forza. Non sempre le strategie sono vincenti, perché spesso ci uniformiamo a quello che fanno gli altri, seguiamo mode o imitiamo personaggi famosi, anche se i modelli scelti non si adattano per niente alla nostra reale personalità.

Qualcosa di simile facciamo in rete, in modo meno impegnativo, più facile, apparentemente meno rischioso, anche se alla lunga la difficoltà di gestire false identità può essere più dannosa dei vantaggi che si crede di ottenere.
L’anonimato di avatar e nickname rende coraggiosi i timidi, trasformandoli nei famosi “leoni da tastiera”, e spesso le persone più miti diventano irascibili troll giustizieri della notte, con occhi fiammeggianti e indignati commenti.
Se il nostro corpo reale e le nostre condizioni sociali ed economiche pongono limiti invalicabili alla nostra personalità, la nostra identità virtuale è sciolta da tali vincoli. Possiamo cambiare genere, stato, aspetto quando e come vogliamo, se partecipiamo ad un gioco di ruolo o ad un gruppo che agisce in una “seconda vita” on line. Anche se poi diventa più difficile gestire contemporaneamente situazioni virtuali e reali, quando agiamo in multitasking in ambienti fisici e digitali.

La pratica dei selfie e del racconto quotidiano della propria vita per condividerla con le cerchie dei propri amici e conoscenti tende a mescolare l’identità reale e quella virtuale, perché spesso si finisce per fare cose soltanto per poterle pubblicare su Instagram o su Facebook, fino a mettere a repentaglio la propria incolumità con la speranza di ottenere parecchi like.

Ragazzine che condividendo i loro acquisti, il trucco e i flirt, diventano influencer da migliaia o milioni di seguaci, finiscono col modellare la loro vita reale sul loro personaggio virtuale, e i follower fanno peggio tentando di imitare i loro modelli.
Il sé incarnato con l’avatar si differenzia dal sé desiderato, ma nell’influencer i due sé si fondono di nuovo, perché l’uno rifluisce sull’altro.

I limiti tecnici delle interazioni (poche parole in Twitter, frasi brevi nelle chat e nei commenti social, post di poche righe o pochi periodi altrimenti non vengono letti) realizzano tuttavia identità frammentate, che nei casi limite si riducono solo a esclamazioni, sequenze di cuoricini o di faccine, pollici alzati o icone di repertorio. E’ un tipo di comunicazione interpersonale che non differisce molto da quanto si riesce a dirsi nel frastuono di una discoteca.

Da una parte quindi abbiamo il bisogno di amplificare la propria realtà in una iperrealtà virtuale, dall’altra di evadere dalla propria realtà per far finta di vivere in una realtà onirica, immaginata, capace di accogliere gratis il bisogno di fuggire o di nascondersi.

La diffusione dei dispositivi mobili e dei social ha reso costante il passaggio continuo e automatico dal reale al virtuale. Guardando la tv si consulta la propria bacheca Facebook, a cena con gli amici alcuni brindano o si scambiano i piatti da assaggiare, altri sono assorti nei loro telefonini. Ne deriva che si crede di essere in compagnia, ma si è soli e si preferisce la compagnia virtuale a quella reale.

L’identità virtuale con i social è diventato un brand personale. Noi ci confezioniamo come una marca o un prodotto, in modo diverso se siamo su Facebook con l’intento di crearci una rete di amici, o se siamo su Linkedin con l’intento di crearci una rete professionale di fornitori, consulenti e clienti. Se con gli amici possiamo permetterci di dire bugie, rischiando solo di venire scoperti, con i clienti dobbiamo cercare di presentarci al meglio, facendo capire che cosa facciamo e chi siamo, e perché il cliente deve scegliere noi, ma dobbiamo dire la verità, perché altrimenti perdiamo la reputazione, che nel lavoro è tutto.