Autonomia

atlante management

Il management umanistico nasce negli anni venti del secolo scorso come paradigma alternativo al management scientifico che si era sviluppato nei primi del novecento nelle fabbriche meccaniche, e che predomina tuttora nelle organizzazioni burocratiche, autoritarie, centralizzate e basate sulla produzione in serie. La gestione umanistica dell’impresa viene in primo piano con le trasformazioni generate dalle nuove tecnologie che stanno rendendo le organizzazioni sempre più simili ad organismi che vivono in reti ecologiche, invece che a macchine allineate in catene produttive. E’ un cambiamento radicale del paradigma delle teorie economiche e delle pratiche predominanti a favore di una gestione autenticamente umanistica. Ridurre l’impresa al solo profitto, lasciando alla politica tutto il resto, ha portato alla crisi del sistema capitalistico, con governi sempre più deboli e multinazionali sempre più forti, per cui l’impatto di modelli di business poco sostenibili è sempre maggiore, e la crescita illimitata in un sistema limitato è sempre più pericolosa per la sopravvivenza stessa della specie umana.

I manager sono stati formati a conseguire metriche di successo unidimensionali, performance a breve termine, semplificazioni, ma oggi si trovano a dover considerare più fattori, effetti temporali più lunghi, complessità sistemica. Non devono rispondere solo agli azionisti, ma anche agli stakeholder che chiedono qualità della vita e valore reale.

Con l’importanza crescente degli stakeholder nasce la responsabilità sociale dell’impresa. Perseguire solo un obiettivo alla volta porta in genere a una semplificazione eccessiva, ad una falsa chiarezza a scapito di importanti visualizzazioni alternative. Più complesso è l’argomento studiato, più variegati dovrebbero essere gli strumenti di analisi, e selezionati con più attenzione. Laddove l’argomento in questione è il comportamento economico umano e la condotta negli affari, i metodi investigativi impiegati dovrebbero essere umanistici, non meccanici.

Il management umanistico si basa su tre principi: descrizione, ascrizione, prescrizione.
La descrizione considera motivi di libertà piuttosto che leggi di necessità. Ogni responsabilità presuppone la libertà, la responsabilità aziendale richiede la libertà manageriale di deviare dalla massimizzazione del profitto, perseguita dal management classico, a favore di altri obiettivi. Libertà e responsabilità sociale sono limitate dalla massimizzazione del profitto.
L’ascrizione mette la libertà qualitativa prima di quella quantitativa. Tutti gli orientamenti etici perdono il loro merito morale quando vengono imposti dall’esterno. La libertà non riguarda solo i dettami del mercato e le scelte all’interno di un sistema, ma anche la scelta del sistema stesso. Nel regno della libertà il potere della critica equivale a una critica del potere.
La libertà quantitativa del liberismo economico mira al maggior numero possibile o alla massima espansione possibile delle scelte individuali. La libertà qualitativa sceglie le opzioni secondo la propria responsabilità.
La prescrizione mira alla dignità incondizionata e alle condizioni di benessere. Mentre il paradigma meccanicistico è apparentemente privo di valore, pur essendo segretamente orientato su una matrice materialistica, il paradigma umanistico è apertamente normativo. La libertà non è quindi solo riconosciuta come la base ultima dell’attività economica (descrizione), ma la sua dimensione qualitativa (attribuzione) si estende anche alla richiesta di un suo uso responsabile (prescrizione).

Gli oggetti hanno prezzi, ma i soggetti hanno dignità, in quanto sono essi a conferire valore. L’autonomia umana è il fulcro attorno al quale ruota questa concezione della dignità.
I dipendenti non sono solo risorse economiche e strumenti di produzione, ma persone con esigenze di varietà e significatività.

Per il management scientifico, se qualcosa non viene misurato, non può essere gestito. Di conseguenza, le cose che hanno un prezzo hanno la priorità su quelle che non lo hanno, come l’integrità umana, la bellezza ambientale o la qualità della vita.

La gestione umanistica mira a creare una relazione più equilibrata tra ciò che può essere scambiato sui mercati e ciò che non può esserlo, ma che rende la vita interessante, cioè la dignità umana e il benessere. I mercati sono uno strumento importante e possono aiutare a proteggere la dignità e contribuire al benessere, ma le nostre pratiche organizzative devono considerare tre principi:
•   la dignità di ogni persona va rispettata in modo incondizionato;
•   questa riflessione etica deve costituire una parte integrante delle decisioni aziendali, che vanno prese tenendo conto delle conseguenze su tutte le persone colpite, non solo della massimizzazione del profitto;
•   la ricerca della legittimità normativa per le attività aziendali è fondamentale per assumerne le responsabilità, dialogando con gli stakeholder a cui rendere conto.

In sostanza la gestione umanistica è il perseguimento di strategie e pratiche volte alla creazione di un benessere umano sostenibile.
Fra i pionieri ricordiamo Mary Parker Follett ed Elton Mayo.
Negli anni ’20 Mary Parker Follett, lavorando per la Dupont Chemical Company, mise in luce la struttura a matrice più che a piramide, l’importanza dei processi informali all’interno delle organizzazioni, l’autorità derivante dall’esperienza piuttosto che dalla posizione o dallo status. Un gruppo informale può formarsi per socializzare, formare un sindacato o discutere i processi di lavoro senza ascoltare la direzione. Il potere va condiviso in modo non coercitivo e win win fra dirigenti e lavoratori. La risoluzione dei conflitti si basa su consultazioni costruttive fra uguali più che su compromesso, sottomissione e lotta fra diversi.
La cooperazione sociale è preferibile rispetto alla competizione individuale.

Nel decennio 1920/30 Elton Mayo sperimentò per la Western Electric che aumentare o diminuire condizioni materiali di lavoro come illuminazione, orari, pasti, cambiava poco o nulla il rendimento. Da interviste ai lavoratori risultò che la produttività aumentava quando si divertivano di più, motivati più dalle dinamiche sociali che da fattori economici o ambientali. Mayo concluse che un gruppo con comportamenti negativi e pochi legami sociali aveva pochissime possibilità di successo, un gruppo con un alto senso della missione e della squadra era più capace di raggiungere i suoi obiettivi. L’approccio umanistico quindi mitiga la razionalità meccanica del management scientifico. Riconosce l’importanza dei bisogni sociali dei singoli lavoratori e gli effetti delle dinamiche di gruppo sull’efficienza e la produttività. Amplia la lista delle motivazioni oltre ai fattori tangibili ed economici.

Marco Minghetti, che ha studiato in chiave moderna e italiana l’humanistic management, lo vede come la risposta più adatta alla crisi economica attuale  e all’avvento di un modello conversazionale focalizzato sul social networking che regola i rapporti fra le persone e fra queste e il mercato.
Radicato nel grande patrimonio umanistico e rinascimentale della cultura italiana e europea, l’humanistic management si può definire attraverso questi tratti essenziali:
•   accorta combinazione tra razionalità ed emotività;
•   equilibrio fra morale individuale ed etica collettiva;
•   cura di ciascuno verso il proprio autosviluppo e verso gli altri;
•   approccio narrativo ispirato alla generazione individuale e collettiva di senso;
•   leadership convocativa e metadisciplinarietà.

Lo strumento principale di cui si avvale è l’apertura verso ambiti che l’impresa scientifica ha sempre considerato a sé estranei – il gioco, la filosofia, la poesia, il cinema, il teatro – ma anche alle nuove frontiere dischiuse dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dal networking multimediale, dalla business television, dai dispositivi mobili.

Il management umanistico è un modello operativo e cognitivo che tende a trasformare l’impresa in organizzazione sociale fondata sull’apertura dei confini dell’organizzazione, superando all’interno le gerarchie e le divisioni funzionali, all’esterno coinvolgendo clienti, partner e fornitori; creare contenuti e conoscenza condivisi e partecipativi; affrontare la complessità con velocità e  flessibilità nel cambiamento continuo di ruoli, processi di lavoro e sistemi informativi; favorire la convivialità centrata sulla valorizzazione delle community virtuali indipendentemente dalla localizzazione fisica e dagli orari di lavoro, coniugata ad una diffusa “socialità offline”; uno stile di leadership convocativo; una visione etica forte e coerentemente agita.
L’inclusione permette di acquisire le migliori idee attraverso la loro selezione naturale; l’open innovation è il paradigma in base al quale le imprese possono e devono utilizzare le idee esterne e interne; l’abbattimento dei silos aziendali comporta la rottura delle barriere generate dalla rigida suddivisione di uffici, reparti, gruppi di lavoro.