Paradigma

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Un paradigma è un modello a cui ci si riferisce per pensare, comunicare, agire. Va dalla grammatica per declinare nomi e coniugare verbi, fino a tutti gli altri ambiti del pensiero. La famiglia tradizionale fatta di padre, madre e due figli è un paradigma, come lo sono la democrazia, la crescita del PIL, il liberismo economico, il libero arbitrio. Percezioni, giudizi, interventi, hanno un valore se riferiti ad un paradigma, cambiano se si cambia il paradigma di riferimento. Per esempio, il concetto di responsabilità dell’individuo dipende dal libero arbitrio: se neghiamo la libertà di scelta e crediamo che tutto sia predeterminato da un insieme di necessità, l’individuo non è più responsabile di ciò che fa.

Fino a che un paradigma funziona, non c’è motivo di cambiarlo. Quando però cambiano cose, scenari, persone, tecnologie, conoscenze e condizioni ambientali, restare legati ai vecchi paradigmi può essere dannoso, perfino distruttivo.
Tuttavia, esistono diversi livelli di sensibilità ai segnali di cambiamento: alcuni colgono subito i primi segnali deboli, tutti gli altri invece reagiscono solo quando i segnali sono diventati fortissimi, addirittura catastrofici. Le persone più sensibili non vengono capite e apprezzate, perché la loro voce è troppo debole di fronte all’ottuso brusio delle maggioranze o alla silenziosa pervicacia dei privilegi cristallizzati.

I paradigmi cambiano in modo graduale col cambiamento stesso della società. Tuttavia ogni tanto si verificano cambiamenti radicali e improvvisi, determinati da veri e propri salti di paradigma da parte di chi li ha provocati. Thomas Kuhn, il teorico del “salto di paradigma”, è un epistemologo americano che nel 1962 scrisse La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, (ripubblicato da Einaudi nel 2009), in cui sosteneva che il progresso scientifico non è un’evoluzione continua, ma una “serie di pacifici interludi interrotti da violente rivoluzioni intellettuali”, e in queste rivoluzioni “una visione concettuale del mondo è sostituita da un’altra”.

salto di paradigma

Questa è una mia rappresentazione del processo di salto di paradigma teorizzato da Kuhn. Il processo inizia con una fase pre-paradigmatica, in cui si confrontano scuole e teorie diverse. Da esse emergeranno quelle che costituiranno il nuovo paradigma. Non è detto che siano le più veritiere o scientificamente eleganti, potrebbero essere anche le più forti economicamente e politicamente. Nasce così il nuovo paradigma, il nuovo modello di visione del mondo, a cui tutta la comunità scientifica si uniforma cercando di spiegare i fenomeni adattandoli al paradigma corrente. Le anomalie non vengono considerate come smentite del paradigma, ma come eccezioni che vanno riportate nella corrente.

Ad un certo punto però, anomalie e nuove scoperte mettono in discussione il paradigma corrente e si creano nuove scuole; o addirittura vecchie scuole, che precedentemente erano state perdenti, tornano in auge. I sostenitori del paradigma corrente, che occupano tutti i principali posti di potere, fanno di tutto per difenderlo e per conservare i loro privilegi, ma prima o poi emergerà un nuovo paradigma da cui partirà una nuova normalità.

Tutto quello che appartiene al paradigma blu sembra sbagliato e inconcepibile a quelli che restano nel paradigma rosso.
Questo schema, oltre che alla scienza, si applica in tutti i casi di resistenza al cambiamento, dall’introduzione di un nuovo software da ufficio, alla fusione di due aziende. È altrettanto valido dal micro al macro, come il cambiamento mentale che serve a smettere di fumare o come la profonda e totale rivoluzione relativa al passaggio dal sistema geocentrico a quello eliocentrico. Nel problem solving il salto di paradigma, anche se limitato al solo scenario ristretto del problema, è uno sforzo utile per considerare il problema da un nuovo punto di vista, e quindi per arrivare alla soluzione abbandonando gli schemi che avevano generato o alimentato il problema.

Un esempio attuale di salto di paradigma lo vediamo in macroeconomia, dove il paradigma corrente è la crescita del PIL (prodotto interno lordo) come indicatore di benessere economico. Ad esso è ancorato il pensiero unico di economisti, media, politici, imprenditori, professionisti, che deplora qualsiasi non-crescita, anche quando andrebbe a vantaggio di chi ha meno soldi da spendere. Ma basterebbe uscire da questo paradigma per studiare vere strategie di non-crescita, o meglio di crescita di cose molto più belle del PIL, come la serenità e la convivialità fra le persone. 

Sempre in macroeconomia, un altro esempio di salto di paradigma è il passaggio dalle energie non rinnovabili alle rinnovabili.