Verbalizzare e visualizzare

atlante –  comunicazione

Anche se sono ormai povero in canna
a certe cose non posso rinunciare,
e allora al bar io cerco di ordinare
una granita di caffè con panna.

L’endecasillabo che enuncia la granita suona bene all’orecchio, ma non riesce a soddisfare la vista come fa l’immagine. Parole e immagini si aiutano a vicenda per rendere più efficace la comunicazione. “Un’immagine vale più di mille parole” diceva Mao Tse Tung. Ma in molti casi anche una parola può valere più di mille immagini, come diceva Gesù col suo “In principio era il Verbo”. E se si riesce ad accoppiare bene parola e immagine si parla ad ambedue gli emisferi cerebrali.

Nella comunicazione visiva e nella gestione a vista, visualizzare significa tradurre in linguaggio visivo qualsiasi altro tipo di comunicazione, verbalizzare significa spiegare a parole un’immagine o corredarla di una didascalia.
Fin dalla remota preistoria l’uomo ha comunicato per mezzo di rappresentazioni simboliche e semplificate della realtà, a volte esprimendosi in modo analogico e concreto (l’aspetto delle cose, rumori e suoni, movimenti) a volte in modo digitale ed astratto (parole, numeri, simboli e segnali). Lo stesso oggetto, lo stesso evento, la stessa notizia possono essere espressi in forma analogica, digitale o analogico/digitale. L’immagine mostra la rappresentazione del pesce come simbolo cristiano usato nelle catacombe, il cui nome in greco era IKTHUS, acronimo di Iesus Kristòs Theu Uios Soter (Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). In questo caso l’immagine simbolica analogica e la parola esoterica digitale dovevano nascondere invece di rivelare.

Nella mappa del planisfero invece i colori hanno lo scopo di far vedere alla prima occhiata quali sono i paesi con una maggiore densità di popolazione, ma per sapere a quanti abitanti per chilomertro quadrato corrispondono, c’è bisogno di una didascalia o di una legenda. Ecco dunque come immagini e parole si integrano per rendere più efficace la comunicazione, perché le immagini mostrano, le parole spiegano, informano, descrivono, contestualizzano.

Quando può, l’uomo cerca di rappresentare tutti gli aspetti di un fenomeno. Al proposito ha inventato il cinema, che rappresenta tutto ciò che viene parecepito dai sensi della vista e dell’udito, e poi la multimedialità e l’interattività, che utilizzano tutti i canali, i supporti e i linguaggi che abbiamo a disposizione: immagini, parole, suoni, testi, musiche, filmati, grafici, mappe, simulazioni, materiali da elaborare ulteriormente.

Tuttavia, alla base della comunicazione resta sempre il problema di illustrare con immagini un messaggio verbale, sia esso un ordine militare o un poema dantesco, e di spiegare a parole un segnale visivo, sia esso un divieto di sosta o il Giudizio di Michelangelo.

Se osserviamo qualche telegiornale o un oratore che parla in pubblico con il supporto di diapositive, possiamo notare che a volte le parole e le immagini collaborano fra di loro per la migliore comprensione del messaggio, altre volte vanno l’una contro l’altra, o si ignorano, creandoci problemi di comprensione.

Per passare dal testo all’immagine e viceversa dobbiamo valutare quanto il messaggio sia analogico, cerchi cioè di assomigliare alla realtà, o digitale, cerchi invece di indicarla con simboli convenzionali. Se un cinese, un tedesco e un italiano vogliono raffigurare il pane, possono usare la stessa immagine, che sia una foto, un disegno o un modellino in terracotta. Se invece vogliono nominarlo, il cinese dirà “miànbāo”, il tedesco “brot” e l’italiano “pane”. Il linguaggio analogico non ha la barriera della lingua, il digitale può aggiungere informazioni che l’immagine non può dare (il pane è di segale, pesa 3 etti, costa 1 euro, contiene carboidrati). Il linguaggio digitale può anche descrivere sensazioni analogiche che l’immagine non può rendere (il pane è caldo e croccante, ed ha il caratteristico odore della pagnotta appena sfornata).

Quindi passeremo a valutare quanto il messaggio vuole essere concreto e specifico, o astratto e generico. “Il pane fa ingrassare” è una frase facilmente comprensibile. Ma di quale pane si tratta? Quanto fa ingrassare? Quanto se ne deve mangiare per ingrassare? Visualizzare un enunciato astratto e generico è più difficile: quale pane rappresentiamo? Bianco o integrale? Una fetta o una pagnotta? Semplice o spalmato di burro e marmellata? Peggio ancora se vogliamo visualizzare la frase “il pane non va sprecato, è una generosità della natura”. E’ impossibile visualizzare una negazione, una qualità astratta o un concetto generale, se non ricorrendo a simboli e segni condivisi.

Parole e immagini si possono alleare per ridurre l’ambiguità di un messaggio. Se mi mostri una svastica, intendi comunicarmi un antico simbolo indiano o il simbolo del nazismo? Se scrivi “pianoforte” è uno strumento verticale o a coda?
Una combinazione efficace fra parole ed immagini non deve essere tautologica, ma deve servire ad aggiungere informazioni. Se accanto all’immagine di una mela scrivo “mela” non aggiungo informazione, almeno per un italiano. Se invece scrivo “mela, apple, pomme” già indico le corrispondenze fra italiano, inglese e francese. Se poi scrivo “Mela Renetta della val di Non” aggiungo ulteriori informazioni.
Infine parole e immagini devono facilitare il processo di codifica e decodifica. Se vogliamo visualizzare la densità di popolazione nel mondo, possiamo usare un planisfero con colori diversi in base al rapporto fra abitanti e territorio. Ma per renderlo comprensibile dobbiamo dotarlo di una legenda che traduca i colori in percentuali numeriche, altrimenti non significano nulla, come abbiamo visto nell’immagine del planisfero.