Emoticon e emoji

atlante –  comunicazione

Con l’enorme sviluppo della corrispondenza email prima, e della messaggistica social dopo, si fa un uso sempre più largo e generalizzato di comunicazione verbale scritta, che però ha lo svantaggio di non poter veicolare emozioni, toni di voce, espressioni del viso, gesti. Qualcosa si può fare con la punteggiatura, perché virgole, punti, punti e virgole possono esprimere pause ed esitazioni, punti interrogativi ed esclamativi differenziano una domanda da un ordine, la curiosità dalla meraviglia, i punti sospensivi lasciano svanire la frase nel silenzio e nell’incertezza. E proprio partendo da questi segni di interpunzione Scott E. Fahlman, un ricercatore della Carnegie Mellon University di Pittsburg (USA), nel 1982 digitò le combinazioni 🙂 e 🙁 per avvertire che la frase collegata doveva essere letta come qualcosa di bonario, di scherzoso, o come una disapprovazione, una critica. Le combinazioni si moltiplicarono ad esprimere una molteplicità di sentimenti e atteggiamenti: scherzo, gioia, tristezza, rabbia, meraviglia, indignazione, simpatia. Combinando le parole emotion e icon fu creato il termine emoticon, col significato di icona capace di esprimere emozioni.

Oltre a “riscaldare” un testo le faccine servono a disambiguarlo. E’ ben diverso scrivere “la vedo bigia :(” o “la vedo bigia ;)”. Nel primo caso il tono è preoccupato, nel secondo è scherzoso.

Alla fine degli anni ’90, con l’evoluzione dei telefoni, la maggiore compagnia telefonica giapponese sviluppò e mise in rete gli emoji o pittogrammi, ampia raccolta di icone capaci di rappresentare i più diversi significati. Con la diffusione di tavolette e smartphone oggi facciamo largo uso di emoji al posto degli emoticon. Il confine tra emoticon ed emoji è piuttosto labile: alcune emoji sono anche emoticon e non è più necessario scrivere i simboli tramite tastiera visto che ormai sono tutti disponibili a livello grafico sui nostri smartphone e sui servizi di comunicazione e messaggistica che utilizziamo tutti i giorni. Quello delle faccine è di fatto diventato un modo di comunicare a parte, comune in tutto il mondo, supportato allo stesso livello da numerosi programmi e dispositivi e immancabile nella vita di tutti noi. Le faccine sono diventate, nella scrittura breve digitale, un linguaggio comune tra popoli e culture diverse, anche se variano da una cultura all’altra, da una lingua all’altra, così come diversa è, a volte, la stessa visualizzazione nei diversi sistemi operativi. In Australia, per esempio, sono molto usate icone di tipo farmaceutico o gastronomico, in Canada si preferiscono icone violente e macabre.
Un’emoji sarà sempre accettabile in una chat fra amici, decisamente meno in documenti ufficiali, anche se ormai vengono accettate anche in messaggi lavorativi, se servono a chiarire le intenzioni di chi scrive. Oggi si contano circa 1600 emoji, con cui possiamo esprimere in forma iconica altrettante sfumature emotive e di significato.
Le faccine possono servire a instaurare una relazione con persone che avremmo difficoltà ad affrontare faccia a faccia: la faccina con il bacino sostituisce un bacio che difficilmente daremo dal vivo, quella con le lacrime accenna a pianti in solitudine, quella con il sorriso potrebbe occultare dietro una maschera molte difficoltà inespresse. Relazionarsi in questo modo diventa più semplice perché si è protetti dallo schermo di un dispositivo.
Le faccine sono entrate talmente nell’immaginario collettivo da uscire fuori dalla comunicazione web per ispirare linee di prodotti e gadget fisici dalla grafica appositamente studiata e perfino brevettata, come ciondoli, portachiavi, cuscini, magliette, oggetti da arredamento.